abbuffata

 

Le abbuffate non sono tutte uguali. Differiscono per modalità, frequenza, intensità e soprattutto significato. A tutti è capitato di vivere un episodio di abbuffata almeno una volta nella vita, ma non per questo si tratta di un comportamento patologico o necessariamente riconducibile a un disturbo del comportamento alimentare. E’ quindi importante conoscerle e riconoscerle al fine di leggerne il senso e utilizzarle come un “segnale” che può veicolare informazioni, e di conseguenza strategie di gestione, molto diverse fra loro.

Vediamo quindi quali sono le principali circostanze in cui possono insorgere degli episodi di abbuffate.

In primo luogo un’abbuffata può occorre in risposta a una restrizione fisica di cibo. Quando saltiamo i pasti, tagliamo in modo drastico le calorie o stiamo seguendo una dieta particolarmente rigida, il corpo può entrare in una modalità di sopravvivenza, rendendo più probabile una sovralimentazione quando il cibo diventa disponibile.

La restrizione può però anche essere di tipo mentale. Quando ad esempio ci priviamo di alcune tipologie di cibo, il desiderio di mangiarli si intensifica. Più a lungo ci priviamo di quel cibo, più forte sarà l’urgenza di ingerirlo quando finalmente ne avremo accesso.

Una terza condizione che può condurci all’abbuffata è la cosiddetta fame emotiva. Abbuffarsi spesso corrisponde a una strategia di coping che adottiamo per gestire stress, traumi del passato o emozioni negative. Se ci sentiamo vuoti o percepiamo la vita come poco significativa, possiamo rivolgerci al cibo per cercare di colmare quel vuoto o dare conforto a noi stessi.

Stati di noia possono trovare nell’abbuffata una risposta, specie nei momenti in cui non si sa cosa fare del proprio tempo libero. Mangiare può quindi diventare un’abitudine che caratterizza le nostre serate, i weekend o comunque tutti quei momenti in cui non siamo ingaggiati in attività strutturate

Anche la modalità con cui ci accostiamo all’attività del nutrirci può condurre all’abbuffata. Mangiare senza consapevolezza e distraendoci (ad esempio guardando la tv, scrollando il telefono o lavorando al computer) dall’atto stesso di introdurre cibo nella nostra bocca può farci finire con l’abbuffarci perchè ignoriamo i segnali di sazietà che il nostro stomaco ci invia.

L’abbuffata può anche dipendere da fattori ormonali. Quando ci sono degli squilibri derivanti da patologie o da particolari momenti del mese (pensiamo nelle donne al ciclo mestruale) è possibile avere l’impulso a ingerire grandi quantità di cibo.

Se la nostra dieta è povera di nutrienti essenziali come proteine, fibre, grassi buoni o carboidrati, il corpo lancia dei segnali di fame intensa per cercare di colmare questo gap nutrizionale.

L’alimentazione ha molto a che fare con il sonno, e la mancanza di riposo può alterare l’equilibro degli ormoni collegati all’alimentazione con un aumento dei livelli di grelina (che stimola l’appetito) e una diminuzione dei livelli di leptina (che segnala la sazietà), conducendo a comportamenti di overeating.

Infine, sugli scaffali dei supermercati sono presenti cibi altamente processati che sono prodotti in modo da farcene desiderare ancora e ancora, e questo rende difficile smettere di mangiarli una volta che si è iniziato.

Da questa sintetica elencazione delle diverse tipologie di abbuffate e delle cause che le determinano, è possibile attraverso una buona operazione di automonitoraggio riconoscere in quali situazioni tendiamo ad adottare questo comportamento e riflettere sulla sua funzionalità/disfunzionalità. Nei prossimi articoli proporrò per ciascuna di queste tipologie di abbuffata un ulteriore approfondimento sui meccanismi psicologi sottostanti e delle strategie di gestione che variano a seconda del significato più o meno patologico del comportamento stesso.